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Rebolia

RENATO (SONNY) LEVI

L’OFFSHORE ARRIVA IN EUROPA

Negli anni successivi le edizioni della Miami Nassau si susseguirono con successo crescente, testimoniato sia dal numero dei partecipanti che dal miglioramento progressivo delle performances dei concorrenti, ma con una costante: in testa all’arrivo si trovavano sempre scafi con carena Hunt a V profondo.

Sulla scia dell’entusiasmo sollevato dalla gara americana, nel 1961 degli appassionati motonauti europei che avevan partecipato alla Miami Nassau, decidono di portare la motonautica d’altura in Gran Bretagna, specificamente nelle acque del Solent, il braccio di mare che divide l’Inghilterra dall’Isola di Wight, nacque così la prima e più importante gara europea di offshore, la Cowes – Torquay – Cowes.

Il Solent è tristemente famoso tra i marinai per le acque sempre agitate, le fortissime correnti, i fondali bassi, le nebbie e le frequenti secche … ovviamente vinse una barca a V profondo, costruita su disegni di Hunt … ma in quelle acque perennemente agitate destò molta impressione l’ottimo comportamento sull’onda di una piccola barca italiana: “A Speranziella”, costruita dal cantiere romano Navaltecnica su disegni di Renato Sonny Levi, un nome che i progettisti americani avrebbero presto incominciato a temere …

A SPERANZIELLA

RENATO “SONNY” LEVI

Renato Levi, soprannominato Sonny, nacque nel 1926 a Karachi in Pakistan da genitori italiani lì per seguire l’azienda di famiglia AFCO (il soprannome “Sonny” gli fu dato dalla tata che non ne riusciva a pronunciare correttamente il nome), si appassionò da subito al mondo della motonautica ed alla progettazione, dove grazie allo studio rigoroso dei materiali, dei modelli matematici sottostanti e per lo spirito rivoluzionario di innovazione che lo anima risultò essere uno dei più prolifici, se non il più prolifico innovatore nella storia della motonautica d’altura.

Da sue idee derivano quelle che oggi consideriamo come caratteristiche acquisite nelle barche veloci a motore: le eliche di superficie con sistema intubato – Levi drive unit, appunto, l’utilizzo in motonautica del compensato marino, la motorizzazione diesel utilizzata su scafi veloci.

LEVI – DRIVE – UNIT

I nomi delle sue barche appartengono alla storia perchè evocano vittorie e record: i cabinati “Speranza mia”, “A Speranziella” che ancor oggi è un punto di riferimento per gli scafi d’altura a cui fecero seguito “Settimo Velo” e “Ultima Dea” la barca da gara espressamente realizzata per Gianni Agnelli, le motovedette “Supersperanza”, la serie dei Delta, quella dei “Drago” con cui per la prima volta s’è realizzata una barca di serie capace di navigare a 50 nodi.

ULTIMA DEA
PARTENOCRAFT DELTA 40

Un episodio curioso: il motoscafo Drago ottenne un immediato successo tra i contrabbandieri per le sue incredibili qualità marine e velocistiche, tanto che nel corso di un’operazione di contrasto alla criminalità venne requisito un Drago di proprietà del clan dei Marsigliesi.

ITALCRAFT DRAGO

Le caratteristiche dell’imbarcazione impressionarono così forte i militi da far sì che lo scafo requisito fu subito verniciato grigio – Guardia di Finanza … alla fine il Drago Italcraft, barca comunemente utilizzata sia dai finanzieri che dai contrabbandieri per le sue caratteristiche uniche … fu soprannominato a Napoli col nomignolo di: “O‘ pappavallo” (il pappagallo) per via della forma della prua. All’estero passò invece alla storia con l’appellativo di “marlboro killer” perché era l’incubo dei trafficanti di sigarette.

SUPERSPERANZA

Renato “Sonny” Levi collaborò con vari cantieri: si ricordano le sue barche realizzate da Navaltecnica e Canav (Speranziella, Settimo Velo, Ultima Dea, Supersperanza), da Italcraft (Drago e poi tutta la serie Aeromarina), da Partenocraft (Delta Synthesis) e da molti altri.

Fabrizio Rebolia

Premessa

Quando si parla di offshore, si intende una gara motonautica interamente corsa in mare aperto, con questo volendola distinguere da quelle che si svolgono in bacini chiusi, come i laghi e le lagune, per esempio. La caratteristica che contraddistingue le barche offshore è la ricerca della massima velocità abbinata ad una carena che consenta di navigare nonostante le onde, le correnti ed il vento, tutte le condizioni cioè che contraddistinguono una competizione in mare aperto.

Va da se’ che le barche offshore fino a ieri erano quasi esclusivamente dei monocarena, ossia barche con uno scafo solo, poiché queste assorbono meglio il moto ondoso. In tempi recenti questa caratteristica s’è un po’ perduta, poiché le gare offshore per motivi mediatici han perso il loro carattere originario e son diventate gare sempre meno marine e sempre più da circuito.

La Miami – Nassau

Se per offshore intendiamo la competizione sportiva in mare aperto, sicuramente dobbiamo andare al 6 maggio 1956, quando un gruppo di appassionati statunitensi con l’hobby della motonautica, volle stabilire chi avesse la barca più veloce sul percorso Miami – Nassau. Una competizione in mare aperto, dalla Florida puntando la barca per 184 miglia verso il largo sino alle Bahamas … Ecco, possiamo dire che quel giorno nacque la motonautica d’altura (ossia l’offshore).

I concorrenti di quella prima edizione furono solo undici e terminarono in otto. Vinse col tempo di 9h e 31 (31,7 km/h di media) Doodle II, uno scafo molto piccolo, un open di 34 piedi della Chris Craft pilotato da Sam Griffith e Dick Bertram.

THE DOODLE II

Alla fine della gara il fasciame sovrapposto di Doodle II era tutto allentato per le sollecitazioni subite ed i colpi ricevuti, ad ogni modo quello fu l’inizio: la gara piacque così tanto che fu replicata gli anni successivi ed ancor oggi è una di quelle classiche offshore che da sola vale un campionato

Le carene a V profondo

Dick Bertram era un broker di Miami, appassionato di vela più che di motonautica, anzi, fu proprio assistendo ad una regata in una giornata di mare mosso che si imbattè in una barca per nulla disturbata dalle onde che in quel momento si frangevano sul campo di gara, e che anzi, teneva il mare con una capacità mai vista.

Al timone di quel prototipo c’era un architetto navale di nome Ray Hunt.

Hunt aveva intuito che facendo proseguire la V della prora delle imbarcazioni per l’intero scafo fino alla poppa, la barca fendeva l’onda anche con mare formato non rimbalzando su di essa, ma tagliandola.

MOPPIE

Bertram contattò Hunt con il proposito di portare l’idea del V profondo nelle carene delle imbarcazioni a motore e da quell’incontro nel 1960 nacque Moppie, dal nome della moglie di Bertram, una barca così azzeccata da divenire una leggenda: quella dei motoscafi Bertram con carena Hunt a V profondo, ancor oggi sinonimo di scafi d’altura e fisherman a prova di qualsiasi condizione di mare.

Fabrizio Rebolia