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Parlare di gentleman’s yachts (letteralmente: barche da gentiluomini) significa andare a (ri)cercare quel sottile filo rosso che lega lo yachting a motore con l’arte navale.
Infatti se alcuni velisti amano dire sprezzantemente che i ricchi vanno a motore, mentre i signori vanno a vela, sbagliano, in quanto non tengono conto di questo mondo, che è il ritrovo ovattato di tutti quegli appassionati che per lignaggio, educazione, gusto, cultura artistica e marinaresca, potrebbero benissimo comprendere l’incanto di un J-Class ma che, per scelta, decidono di affidare le proprie navigazioni ad una coppia di motori …
Quali sono le caratteristiche che “deve” avere uno yacht a motore per essere classificato come gentleman’s yacht? Nessuna!
L’arte, si sa, rifugge da qualsiasi obbligo, classificazione o imposizione.
Ciò nondimeno possiamo individuare alcune caratteristiche ricorrenti dei gentleman’s yachts pur avendo ben presenti le debite eccezioni.
Anzitutto “chi” è il tipico armatore di gentleman’s yacht?
Possiamo dire che è una persona che ha cultura marinaresca o, se si preferisce, che ama il mare, una persona insomma che ama navigare con la propria barca, più che tenerla malinconicamente ormeggiata.
Questo immediatamente significa lunghe navigazioni e soprattutto navigazioni confortevoli, quindi carene dislocanti o quantomeno plananti ma mai senza raggiungere certi eccessi velocistici difficilmente sopportabili dall’armatore e soprattutto dagli ospiti a bordo, quindi niente “missili”.
Il nostro armatore-tipo spesso è un collezionista d’arte (addirittura è frequente che qui la collezione appartenga “da sempre” alla famiglia, quindi la bellezza e l’abitudine ad essa son date per scontate) pertanto amerà ritrovare a bordo la boiserie e i materiali nobili della tradizione marinara che mai si sognerebbe di mettere in discussione (legno, ottone, acciaio, cuoio, rattan, lino, cotone).
Anche qui la scelta ricadrà preferibilmente su interni schiettamente marinari, pur non disdegnando le declinazioni dell’art-déco: quindi niente perspex o carbonio, qui le atmosfere son più da “Grande Gatsby” che da “Guerre Stellari”.
Abbiamo parlato già di comfort di navigazione, riprendiamo il discorso e parliamo di motori: qui si preferiscono di gran lunga le navigazioni piacevolmente contemplative alle scorribande a velocità supersoniche, quindi la scelta dei motori ricadrà obbligatoriamente su dei Diesel per la loro sicurezza ed economicità d’esercizio alle andature di crociera.
Addirittura c’è chi in questo tipo di motoryacht ritiene assolutamente insuperabili i sonnacchiosi e proverbialmente economi Gardner (una coppia di Gardner su un 27mt è capace di “accontentarsi” di 30lt/h complessivi, ad un’andatura di 9kn).
Parliamo poi di colori: ammessi tutti, fuorchè quelli squillanti e al di fuori della tradizione marinara, sì (ovviamente) al bianco e al blu marino, qualche concessione al nero (mai opaco mi raccomando) e anche al verde petrolio o al beige.
I gentleman’s yachts vengono al più dipinti di bianco, preferendolo al blu marino (che peraltro è splendido) poiché chi naviga veramente sa quanto possa essere insopportabile vivere in uno scafo nero sotto il sole d’agosto della Sardegna … quando il bianco perde almeno 3° di temperatura. Si potrà obiettare che esiste l’aria condizionata, ma chi lo fa, difficilmente ha provato il brivido di rientrare a bordo dopo un bagno di ferragosto, quando in cabina ci sono 22° (roba da polmonite garantita) quindi sì al bianco ed alle maniche a vento, no al nero, alle superfici vetrate colossali ed all’aria condizionata.
Dimensioni? Posto che non esistono regole, diciamo che tutto dipende da quanti ospiti solitamente l’armatore ama ricevere a bordo e da quante persone d’equipaggio si ritengon necessarie (ammesso che ci si voglia avvalere del marinaio o di altro personale).
Sicuramente il gentleman rifugge da cabine anguste e sovraffollate (lasciandole volentieri alle barche a vela dei francesi) e allo stesso modo aborrisce certi grotteschi “salsiccioni” e “grattacieli del mare”, quindi barche eleganti ed eleganza vuol dire, questa sì che è una regola aurea, senso delle proporzioni e soprattutto cultura marinaresca.
Se avete dubbi in proposito, provate l’ebbrezza di navigare col vento al traverso con un tre-ponti di 25 mt!
Cantieri? Quando non fa parte “da sempre” dei gioielli di famiglia, lo yacht viene fatto costruire da un cantiere “serio”, di provato nome, esperienza e qualità, poiché nel mondo dorato di “coloro che i mobili per la casa non li acquistano ma li ereditano” (la frase è della serie TV Downton Abbey) i nomi dei cantieri di fiducia vengono sussurrati e si passano gelosamente “da pari a pari”, i Paesi di costruzione son sempre quelli di più grande tradizione marinara (Olanda, Gran Bretagna, Italia e Germania) e spesso il cantiere (nel caso di barca nuova) e scelto dal progettista di fiducia e da questo controllato personalmente.
E’ quindi chiaro che ci sono progettisti e cantieri ricorrenti, anche se vi sono le eccezioni.
Qualche nome?
Tra i progettisti abbiamo Sciarrelli, Anselmi Boretti, Luca Dini, Sparkman & Stephen, così per citare solo i più noti.
Nei cantieri i nomi più ricorrenti sono De Vries Lentsch, Camper & Nicholson, Feadship, Abeking & Rasmussen, Benetti, Benetti Sail Division, Codecasa, CRN, Baglietto, Cantieri di Pisa, Picchiotti, Spertini, Cantieri Tigullio, Cantieri Liguri, Camuffo.
Insomma … il gotha dell’eleganza sull’acqua.
Concludendo, come riconoscere a prima vista un gentleman’s yacht?
E’ quella barca che attira subito la nostra attenzione, non perché è la più veloce, né le più grande, né le più costosa, né le più moderna, però è quella barca che ci fa spalancare la bocca per la meraviglia, e socchiudendo gli occhi ci rimanda a quei tempi in cui lo yachting non era “roba” per gente ricca, ma la autentica passione dei signori, a quel punto, ecco … se quella barca ci sa comunicare quest’emozione … ecco, ci troviamo di fronte a un gentleman’s yacht_
Fabrizio Rebolia
Herbert von Karajan (1908), all’anagrafe Heribert Ritter von Karajan, è generalmente considerato uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, è ricordato come il direttore con il maggior numero di incisioni discografiche, in particolare con i Berliner Philarmoniker, che ha guidato per trentacinque anni, sino al 1989, anno della sua morte.
Personaggio del jet set internazionale, direttore osannato e uomo discusso, famoso per le sue sciate e la guida spericolata, per le automobili sportive, per il jet executive che pilotava personalmente, per il suo carisma e per le tre ville (ad Anif, a St Moritz ed a St Tropez), per la sua passione per le belle donne e … per quella per le barche a vela!
Karajan imparò a veleggiare sui laghi austriaci sin da piccolo e nel 1938 acquistò il suo primo yacht, il “Karajanides”.
Nel 1967 acquistò il primo della fortunata serie degli Helisara (6 yachts), il cui nome era l’acronimo di (H)erbert, (El)iette, (Is)abel, (Ara)bel, ossia del suo nome di battesimo, seguito da quello della moglie e delle due figlie.
La prima “Helisara” fu uno yacht di 11mt (37ft) disegnato dall’architetto americano Dick Carter per la “One Ton Cup” del 1966 e fu acquistata da HvK nel 1967. Di base a St Tropez, gareggiò dal 1968 al 1974, vincendo alla “Giraglia” ed alla “Settimana di Marsiglia”.
Le barche della serie Helisara furono infine sei, passando dagli “Swan” dei Cantieri Nautor, per un C & C Custom 61 realizzato dalla C & C Yachts di Oakville, Ontario, Canada e arrivando infine all’ultima “Helisara VI”: un maxi di 24 metri a bordo del quale Karajan vinse numerose regate.
Dell’Herbert von Karajan velista ci piace ricordare la sua inesauribile passione per il mare e lo sport della vela: sempre teso alla ricerca della perfezione ed a tirar fuori il meglio di se’, della barca e di tutto l’equipaggio.
Ricordiamo infine che a bordo, tra le scotte e le drizze degli Helisara era facile incontrare personaggi del calibro di Gianni Agnelli, di Raoul Gardini o di Brigitte Bardot, insomma la commistione tra sport e jet set, tra carisma e bella vita: la sintesi del mondo che frequentava von Karajan quando non dirigeva i Philarmoniker_
Fabrizio Rebolia
UN AMERICANO A VARAZZE
Il cantiere Baglietto da sempre annovera tra i propri clienti principi e magnati, è per la motonautica ciò che la Ferrari è per l’automobilismo: il mito nato dalle regate e dalle corse, l’oggetto per cui i potenti di tutto il mondo son disposti a mettersi in fila ad aspettare e per essere ricevuti in cantiere.
Ebbene, tra questi clienti ve n’è stato uno che più di ogni altro ha incarnato e impersonato lo spirito Baglietto: ovvero ottenere le massime prestazioni possibili con un’eleganza e uno stile senza pari (e sempre Ferrari torna alla mente): un austriaco emigrato in gioventù negli Stati Uniti, con la passione per le corse in automobile e le belle donne e che era diventato ricco vendendo negli USA le automobili tedesche (Volkswagen e Porsche), il barone John von Neumann.
Von Neumann che passava le proprie vacanze in Italia, si appassionò da subito ai motoryacht prodotti da Baglietto e amava dire agli amici che “una barca non è una casa, ma un mezzo in movimento, che deve spostarsi velocemente” e questa sua filosofia caratterizzerà tutte le barche da lui fatte costruire appositamente a Varazze: le più veloci di tutte.
La prima barca che von Neumann acquistò dal cantiere fu un Ischia, seguito da un 16.50 dal nome ignoto.
All’inizio degli anni ’70 von Neumann ordinò due barche con una struttura disegnata appositamente: Geronimo (JVN4) 16,50 mt, e Cochise (JVN5) 20mt che fu esposta al Salone Nautico di Genova dalla sovrastruttura asimmetrica.
Nel ’78 arrivò Tazah (JVN7) 23mt, che aveva la caratteristica particolare di unire lo scafo in alluminio alla sovrastruttura in legno.
Poi tra l’83 e l’85 ecco Nachite e Blackhawk, interamente in alluminio.
Infine, nel 1986, la più bella e veloce di tutte: Chato. Una barca bellissima di 26mt per 60 tons, realizzata in alluminio su carena dell’ingegner Alcide Sculati (il genio che concepì Destriero) con 2 motori MTU 16V 396 TB94 da 3480 cv ciascuno, accoppiati ad idrogetti KaMeWa che sono in grado di portarlo alla pazzesca velocità massima di 60kts, che ne fa ancora oggi uno dei 10 super yacht più veloci al mondo, dopo 30 anni dal suo varo_
Fabrizio Rebolia
L’UOMO DEI SUPERYACHTS PIU’ VELOCI DEL MONDO
John Staluppi è nato a Brooklyn – New York nel 1947 ed ha iniziato a lavorare come meccanico presso l’officina di una pompa di benzina, successivamente s’è messo in proprio ed ha avuto il colpo di genio di importare per primo le minuscole autovetture di uno sconosciuto costruttore giapponese: Soichiro Honda: inutile dire che da quella incredibile intuizione gli affari han preso a marciare a gonfie vele e ad assicurare a John Staluppi il successo.
Il successo negli affari ha portato con se’ la possibilità di acquistare dei bellissimi e costosissimi giocattoli da adulti, come le auto d’epoca (di cui Staluppi è uno dei più grandi collezionisti al mondo) e i motoryacht, e qui inizia il nostro viaggio.
LA VERSIONE STALUPPI – LA PIU’ VELOCE
Il motivo per cui analizziamo le barche possedute da Staluppi è dovuto al fatto che lui ha sempre desiderato andare sul mare con i motoryacht più veloci; questa ricerca della velocità lo spinse negli anni a realizzare barche capaci di stabilire dei record mondiali.
Inizialmente Staluppi si accontentava di prendere un modello preesistente di un cantiere e farlo modificare secondo le sue specifiche; alcune barche furono invece acquistate sul mercato di seconda mano e refittate in modo radicale con motorizzazioni iperboliche.
Successivamente Staluppi decise addirittura di costruire da se’ i mostri con cui sfidare re e tycoon nella gara per la barca più veloce di tutte: con la Millennium Superyachts, un cantiere che aveva per unico scopo quello di costruire le barche più belle, veloci e lussuose del mondo.
Oggi l’obiettivo di Millennium Superyachts non è più principalmente la velocità da primato, ma soprattutto il lusso, e gli ultimi modelli ideati da Staluppi esulando dallo scopo di questa trattazione, verranno comunque qui poi citati, seppure in modo solo sintetico.
FOR YOUR EYES ONLY
Il primo motoryacht che John Staluppi concepì espressamente per la velocità fu il 36mt “For your eyes only”, che fu varata nel 1985 dal cantiere Denison Marine.
Era uno scafo semidislocante e fu il primo motoryacht americano a combinare i motori MTU con la propulsione a idrogetto, e questo gli permise di raggiungere la velocità di 30 nodi.
OCTOPUSSY
“Octopussy” fu la seconda barca espressamente realizzata secondo i desiderata di Staluppi, questa volta dal cantiere Heesen.
Si narra che tra le specifiche contrattuali vi fosse una clausola di rescissione nel caso in cui la barca non avesse superato i 50kn, d’altra parte era previsto che per ogni nodo in più oltre questo limite, il cantiere avrebbe percepito un bonus di $200,000 per nodo.
“Octopussy” coi suoi 44mt e con una velocità di punta di 53 nodi (!) fu al suo varo nel 1988 lo yacht più veloce del mondo.
MOONRAKER
Alla fine degli anni ’80, in risposta a Octopussy, lo scettro della barca più veloce del mondo passò a Sua Maestà l’Aga Kahn che fece varare una barca capace di 57kn, e Staluppi prontamente rispose ordinando al cantiere Norship il 36mt “Moonraker”.
La barca fu varata nel 1992 e arrivò ad una velocità di punta di 61 nodi (!).
THE WORLD IS NOT ENOUGH
Nel 1998 Staluppi decise di scendere personalmente in campo creando un proprio cantiere: non più barche semplicemente modificate, refittate e ipermotorizzate secondo i dettami della “religione Staluppi: velocità, velocità, velocità ad ogni costo”, ma addirittura un cantiere espressamente creato per realizzare il più veloce superyacht al mondo e nacque così in Olanda la Neptunus – Millennium Superyachts, ancor oggi protagonista della scena mondiale dello yachting.
La prima barca uscita dalla Millennium fu nel 2004 “The world is not enough” che riprendeva la predilezione di Staluppi per i nomi alla “James Bond”: un superyacht di 40mt che poteva arrivare ad essere motorizzato (nella versione personale di John Staluppi) con 20,600 HP e raggiungere la pazzesca velocità di 70 nodi (!).
DALLA VELOCITA’ AL LUSSO
Le barche successive di Staluppi, furono sicuramente delle pietre miliari per il lusso abbinato alla bellezza ed alla qualità costruttiva, tuttavia non furono più realizzate per battere record mondiali ma per conquistare lo scettro della barca più bella e più lussuosa, il loro spirito esula quindi da questa trattazione, ove si parla delle barche di Staluppi create per conquistare record di velocità, tuttavia per completezza le citiamo qui:
- Casino Royale (49,6mt x 16kn)
- Skyfall (57,91mt x 20kn)
- Diamonds are forever (61mt x 16kn)
- Spectre (realizzata in partership con Benetti) (69mt x 21kn)_
Fabrizio Rebolia
PREMESSA
Quando l’Offshore dagli Stati Uniti approdò negli anni ’60 in Inghilterra e poi in Italia, i luoghi del nostro Paese dove trovò la sua culla naturale furono dapprima come abbiamo visto le coste del Lazio, poi il Golfo di Napoli, la Versilia, e infine le sponde del Lago di Como.
Quella che ci accingiamo a raccontare è la storia di un gruppo incredibile di piloti ed ingegneri che si seppero rapidamente trasformare da outsiders a “quelli da battere”, dominando ininterrottamente la scena della motonautica europea e mondiale negli ultimi vent’anni del secolo scorso, prendendosi il lusso più e più volte di battere gli inventori dell’Offshore, ossia gli americani, direttamente in casa loro, umiliandoli e stracciando a ripetizione record ritenuti semplicemente intoccabili.
GAGLIOTTA
Come abbiamo visto nelle puntate precedenti la prima barca italiana che sbalordì i piloti americani portava il nome napoletano “A’ Speranziella”, anche se lo scafo fu costruito ad Anzio da Navaltecnica su disegni di Levi.
Il primo cantiere napoletano che si cimentò nelle competizioni motonautiche fu Gagliotta con “Budda”, uno scafo di appena 6,80mt spinto da un motore Volvo Penta da 280CV (si pensi che lo scafo di Don Aronow disponeva di 500CV).
Da allora inizia a Napoli una storia ininterrotta di amore per le competizioni motonautiche, come testimoniano ancor oggi i cantieri Gagliotta, Tony Giugliano e Baia.
CUV
La passione dei costruttori viareggini per la motonautica d’altura è storia di lunga data: naturale che la gara più fascinosa e dura del Mediterraneo prendesse il via proprio da qui: la Viareggio-Bastia-Viareggio, una durissima competizione in mare aperto caratterizzata spesso da mare mosso e onde lunghe.
Fu proprio un pool di costruttori viareggini che nel ’70 si consorziò per dar vita a un cantiere che divenne leggenda: CUV (Cantieri Uniti Viareggio).
La CUV fu fondata nel 1968 da Carlo “Carlino“ Bazzichi con i soci Oreste e Umberto Bergamin. Dapprima deputato alla lavorazione delle leghe leggere, poi alla costruzione della sovrastruttura delle imbarcazioni, a fine anni ’70 il cantiere passa alla creazione dei primi monocarena in alluminio da corsa per Alitalia, da allora una storia di trionfi, titoli mondiali e di piloti leggendari, qualche nome: Francesco Cosentino, Renato Della Valle, Bruno Abbate, Angelo Spelta e Giovanna Repossi per arrivare ad Adriano Panatta
FABIO BUZZI: IL CACCIATORE DI RECORD
Parlare di Fabio Buzzi e della sua FB Design di Annone Brianza senza cadere nell’iperbole è difficile.
Per cominciare possiamo dire che “Cesa” fu la barca più vincente al mondo, vincendo nella sua carriera due titoli mondiali di Classe 1, un Campionato Apba Usa, la Miami-Nassau e per ben due volte la Cowes-Torquay..
Possiamo poi aggiungere che Fabio Buzzi si prese il lusso di andare a stracciare gli americani in casa loro, polverizzando il record sulla New York – Nassau con uno scafo motorizzato Iveco, e cioè FIAT, e che solo l’eterno complesso di inferiorità italiano fece sì che questo record non venisse urlato ai 4 venti dalla FIAT ma sommessamente ascritto a un motore FPT, ossia Fiat Power Train.
Il 12 luglio 2016 Fabio Buzzi arrivò poi a polverizzare simultaneamente, non con uno ma con due scafi insieme, il record della Montecarlo – Venezia pilotandone personalmente uno all’età di 73 anni!
Purtroppo, nel battere se’ stesso, trovò infine la morte la sera del 17 settembre 2019, quando la sua imbarcazione si schiantò contro la diga di San Nicoletto, appena fuori dalla bocca di porto tra Punta Sabbioni e il Lido – aveva appena battuto il record sulla rotta Monte Carlo – Venezia.
Con Buzzi morirono due compagni di equipaggio (un americano e Luca Nicolini) mentre un quarto – Mario Invernizzi – riuscì a salvarsi, miracolosamente con poche ferite
Fabrizio Rebolia
L’OFFSHORE ARRIVA IN EUROPA
Negli anni successivi le edizioni della Miami Nassau si susseguirono con successo crescente, testimoniato sia dal numero dei partecipanti che dal miglioramento progressivo delle performances dei concorrenti, ma con una costante: in testa all’arrivo si trovavano sempre scafi con carena Hunt a V profondo.
Sulla scia dell’entusiasmo sollevato dalla gara americana, nel 1961 degli appassionati motonauti europei che avevan partecipato alla Miami Nassau, decidono di portare la motonautica d’altura in Gran Bretagna, specificamente nelle acque del Solent, il braccio di mare che divide l’Inghilterra dall’Isola di Wight, nacque così la prima e più importante gara europea di offshore, la Cowes – Torquay – Cowes.
Il Solent è tristemente famoso tra i marinai per le acque sempre agitate, le fortissime correnti, i fondali bassi, le nebbie e le frequenti secche … ovviamente vinse una barca a V profondo, costruita su disegni di Hunt … ma in quelle acque perennemente agitate destò molta impressione l’ottimo comportamento sull’onda di una piccola barca italiana: “A Speranziella”, costruita dal cantiere romano Navaltecnica su disegni di Renato Sonny Levi, un nome che i progettisti americani avrebbero presto incominciato a temere …
RENATO “SONNY” LEVI
Renato Levi, soprannominato Sonny, nacque nel 1926 a Karachi in Pakistan da genitori italiani lì per seguire l’azienda di famiglia AFCO (il soprannome “Sonny” gli fu dato dalla tata che non ne riusciva a pronunciare correttamente il nome), si appassionò da subito al mondo della motonautica ed alla progettazione, dove grazie allo studio rigoroso dei materiali, dei modelli matematici sottostanti e per lo spirito rivoluzionario di innovazione che lo anima risultò essere uno dei più prolifici, se non il più prolifico innovatore nella storia della motonautica d’altura.
Da sue idee derivano quelle che oggi consideriamo come caratteristiche acquisite nelle barche veloci a motore: le eliche di superficie con sistema intubato – Levi drive unit, appunto, l’utilizzo in motonautica del compensato marino, la motorizzazione diesel utilizzata su scafi veloci.
I nomi delle sue barche appartengono alla storia perchè evocano vittorie e record: i cabinati “Speranza mia”, “A Speranziella” che ancor oggi è un punto di riferimento per gli scafi d’altura a cui fecero seguito “Settimo Velo” e “Ultima Dea” la barca da gara espressamente realizzata per Gianni Agnelli, le motovedette “Supersperanza”, la serie dei Delta, quella dei “Drago” con cui per la prima volta s’è realizzata una barca di serie capace di navigare a 50 nodi.
Un episodio curioso: il motoscafo Drago ottenne un immediato successo tra i contrabbandieri per le sue incredibili qualità marine e velocistiche, tanto che nel corso di un’operazione di contrasto alla criminalità venne requisito un Drago di proprietà del clan dei Marsigliesi.
Le caratteristiche dell’imbarcazione impressionarono così forte i militi da far sì che lo scafo requisito fu subito verniciato grigio – Guardia di Finanza … alla fine il Drago Italcraft, barca comunemente utilizzata sia dai finanzieri che dai contrabbandieri per le sue caratteristiche uniche … fu soprannominato a Napoli col nomignolo di: “O‘ pappavallo” (il pappagallo) per via della forma della prua. All’estero passò invece alla storia con l’appellativo di “marlboro killer” perché era l’incubo dei trafficanti di sigarette.
Renato “Sonny” Levi collaborò con vari cantieri: si ricordano le sue barche realizzate da Navaltecnica e Canav (Speranziella, Settimo Velo, Ultima Dea, Supersperanza), da Italcraft (Drago e poi tutta la serie Aeromarina), da Partenocraft (Delta Synthesis) e da molti altri.
Fabrizio Rebolia