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L’UOMO CHE INVENTO’ GLI SPORTYACHTS
Il marchese Filippo Theodoli acquistò il cantiere Magnum Marine da Apeco nel 1976 per 1,5 milioni di dollari e, dopo una fase iniziale in cui vennero replicati i modelli concepiti dal fondatore Don Aronow (i cosiddetti Magnum classici) si ebbe un cambio improvviso di rotta e si avviò il concetto che rese i Magnum famosi in tutto il mondo.
L’idea che ossessionava Filippo Theodoli e sua moglie Katrin era che occorreva creare un prodotto assolutamente nuovo: un superyacht (per lusso, prestazioni, dimensioni, comodità) che però fosse gestibile in totale autonomia dall’armatore, da un equipaggio ridotto o addirittura senza equipaggio!
Un mezzo nuovo, con lo charme e il prestigio di un superyacht, ma con la maneggevolezza e le prestazioni di un runabout, capace di regalare al suo fortunato possessore incredibili viaggi sul filo dei 50 nodi attraverso il Mediterraneo, verso la Sardegna, la Corsica o le altre isole o destinazioni alla moda, senza problemi di autonomia, velocità, lusso, gestione e maneggevolezza.
Per fare questo l’idea vincente fu quella di coniugare la miglior tecnica disponibile sul mercato, con il lusso più sfrenato, passando per un ingigantimento delle forme perfette dei runabout.
I PARTNER COINVOLTI NEL PROGETTO MAGNUM 63′
Per arrivare ai Magnum così come li conosciamo oggi, fondamentale fu ovviamente la carena dei Magnum di Aronow, ossia una carena Wynne che venne pantografata e ingigantita.
Oltre che all’accrescimento dimensionale, l’idea vincente fu quella di utilizzare soprattutto motori diesel marinizzati ad alte prestazioni (motori con cui Magnum Maltese 63′ vinse 2 titoli Offshore e la Miami-Nassau-Miami del 1987).
Decisivo fu poi l’incontro con i due parter tecnici che diedero le caratteristiche uniche ai Magnum:
ossia Phil Rolla, produttore delle migliori eliche al mondo e Howard Arneson, che convinse Theodoli a dotare i Magnum del sistema di trasmissione Arneson surface drive, che permetteva di sfruttare al meglio e in alta velocità le eliche Rolla a prescindere dalle condizioni del mare, dell’assetto della barca e addirittura nelle acque poco profonde delle lagune caraibiche.
Quando il Magnum 63′ Pininfarina fu presentato al pubblico nel 1983 fu uno choc: nessuno aveva avuto mai il coraggio di spingersi così a fondo nel gigantismo dei motoscafi da competizione, si era alla fine arrivati ad “una nave che sembrava un motoscafo” o a un “motoscafo grande come una nave”, a seconda delle interpretazioni.
Ma ormai la strada era tracciata e da quel giorno non si contano le imitazioni di quel capolavoro che navigano nei mari caldi di tutto il mondo, oggetto del desiderio per la clientela più esclusiva della terra: dal re Juan Carlos di Borbone, all’emiro del Bahrein, al re di Svezia, al sultano del Brunei, alla famiglia Onassis, agli Agnelli, ai Berlusconi.
Una curiosità: i Magnum sono anche tra le barche più apprezzate dai Narcos Colombiani per la loro proverbiale capacità di navigare ad alta velocità tra le onde del mare in tempesta, fendendole come un jet di linea durante una turbolenza, quando gli altri motoscafi ad alte prestazioni sono costretti a rimanere agli ormeggi.
Il PALMARES
Il Magnum 63′ vinse due titoli mondiali (1986 e 1987) e soprattutto una terribile edizione della Miami-Nassau-Miami nel 1987:
praticamente l’edizione evocativa (il Sam Griffith Trophy) della prima vera gara di offshore ma con il percorso raddoppiato rispetto ad allora.
Quella di quell’anno fu una terribile edizione, caratterizzata dalle condizioni di mare proibitive, al punto tale che il marchese Filippo Theodoli (all’età di 67 anni) e il suo numeroso equipaggio furono gli unici (…) ad arrivare al traguardo di Miami con Magnum General’s Titan dopo un’estenuante cavalcata di 7 ore e 28′.
EPILOGO
Filippo Theodoli ci ha lasciati nel 1990, da allora la gestione del cantiere è passata nelle mani di sua moglie Katrin che ha infuso infinite energie in quella meravigliosa avventura, continuando ancor oggi a regalarci quelle che per molti sono le più belle barche del mondo_
Fabrizio Rebolia
PREMESSA
Quando l’Offshore dagli Stati Uniti approdò negli anni ’60 in Inghilterra e poi in Italia, i luoghi del nostro Paese dove trovò la sua culla naturale furono dapprima come abbiamo visto le coste del Lazio, poi il Golfo di Napoli, la Versilia, e infine le sponde del Lago di Como.
Quella che ci accingiamo a raccontare è la storia di un gruppo incredibile di piloti ed ingegneri che si seppero rapidamente trasformare da outsiders a “quelli da battere”, dominando ininterrottamente la scena della motonautica europea e mondiale negli ultimi vent’anni del secolo scorso, prendendosi il lusso più e più volte di battere gli inventori dell’Offshore, ossia gli americani, direttamente in casa loro, umiliandoli e stracciando a ripetizione record ritenuti semplicemente intoccabili.
GAGLIOTTA
Come abbiamo visto nelle puntate precedenti la prima barca italiana che sbalordì i piloti americani portava il nome napoletano “A’ Speranziella”, anche se lo scafo fu costruito ad Anzio da Navaltecnica su disegni di Levi.
Il primo cantiere napoletano che si cimentò nelle competizioni motonautiche fu Gagliotta con “Budda”, uno scafo di appena 6,80mt spinto da un motore Volvo Penta da 280CV (si pensi che lo scafo di Don Aronow disponeva di 500CV).
Da allora inizia a Napoli una storia ininterrotta di amore per le competizioni motonautiche, come testimoniano ancor oggi i cantieri Gagliotta, Tony Giugliano e Baia.
CUV
La passione dei costruttori viareggini per la motonautica d’altura è storia di lunga data: naturale che la gara più fascinosa e dura del Mediterraneo prendesse il via proprio da qui: la Viareggio-Bastia-Viareggio, una durissima competizione in mare aperto caratterizzata spesso da mare mosso e onde lunghe.
Fu proprio un pool di costruttori viareggini che nel ’70 si consorziò per dar vita a un cantiere che divenne leggenda: CUV (Cantieri Uniti Viareggio).
La CUV fu fondata nel 1968 da Carlo “Carlino“ Bazzichi con i soci Oreste e Umberto Bergamin. Dapprima deputato alla lavorazione delle leghe leggere, poi alla costruzione della sovrastruttura delle imbarcazioni, a fine anni ’70 il cantiere passa alla creazione dei primi monocarena in alluminio da corsa per Alitalia, da allora una storia di trionfi, titoli mondiali e di piloti leggendari, qualche nome: Francesco Cosentino, Renato Della Valle, Bruno Abbate, Angelo Spelta e Giovanna Repossi per arrivare ad Adriano Panatta
FABIO BUZZI: IL CACCIATORE DI RECORD
Parlare di Fabio Buzzi e della sua FB Design di Annone Brianza senza cadere nell’iperbole è difficile.
Per cominciare possiamo dire che “Cesa” fu la barca più vincente al mondo, vincendo nella sua carriera due titoli mondiali di Classe 1, un Campionato Apba Usa, la Miami-Nassau e per ben due volte la Cowes-Torquay..
Possiamo poi aggiungere che Fabio Buzzi si prese il lusso di andare a stracciare gli americani in casa loro, polverizzando il record sulla New York – Nassau con uno scafo motorizzato Iveco, e cioè FIAT, e che solo l’eterno complesso di inferiorità italiano fece sì che questo record non venisse urlato ai 4 venti dalla FIAT ma sommessamente ascritto a un motore FPT, ossia Fiat Power Train.
Il 12 luglio 2016 Fabio Buzzi arrivò poi a polverizzare simultaneamente, non con uno ma con due scafi insieme, il record della Montecarlo – Venezia pilotandone personalmente uno all’età di 73 anni!
Purtroppo, nel battere se’ stesso, trovò infine la morte la sera del 17 settembre 2019, quando la sua imbarcazione si schiantò contro la diga di San Nicoletto, appena fuori dalla bocca di porto tra Punta Sabbioni e il Lido – aveva appena battuto il record sulla rotta Monte Carlo – Venezia.
Con Buzzi morirono due compagni di equipaggio (un americano e Luca Nicolini) mentre un quarto – Mario Invernizzi – riuscì a salvarsi, miracolosamente con poche ferite
Fabrizio Rebolia
MERCURY MARINE
Il contributo che Carl Kiekhaefer ha dato al mondo della motonautica in genere ed a quello delle competizioni è enorme, tuttavia il suo personale tratto distintivo è di esser sconosciuto ai più, avendo sempre lavorato nell’ombra, anche se … senza il suo contributo, oggi la storia delle barche a motore e delle gare offshore sarebbe diversa …
La storia inizia nel 1939 a Cedarburg, nel Winsconsin, da uno stabilimento dismesso venduto con 300 motori marini difettosi: Carl Kiekhaefer lo acquista e si mette in testa di riprogettare e ricostruire questi motori per poi venderli e finanziare la sua vera idea imprenditoriale … costruire separatori magnetici per l’industria lattiero-casearia!
Non so come andò a finire con i separatori magnetici e le mucche … ma quel giorno nacque Mercury Marine!
MERCRUISER
Nel 1959 Volvo Penta stupì il mercato motonautico internazionale col lancio sul mercato internazionale del primo motore entrofuoribordo, ossia un gruppo che coniugava la presenza del motore all’interno dello scafo (entro) con il piede poppiero (fuoribordo): l’idea in se’ era buona ma fu Kiekhaefer che la sviluppò in modo vincente, puntando su una maggior potenza, a differenza di Volvo che presentò un motore di appena 10cv superiore al fuoribordo allora più potente.
Così nel 1961 Carl Kiekhaefer presentò alla fiera nautica di Chicago la prima gamma di entrofuoribordo MerCruiser con modelli DA 125 E 200cv e da allora fu … il vuoto!
La particolarità principale degli entrofuoribordo è sicuramente la loro versatilità, in quanto lasciano molto più spazio libero a bordo dell’imbarcazione, consentendo così un’ottimizzazione nella divisione degli spazi e nella distribuzione dei pesi, che finiscono per essere collocati più in basso ed a poppa.
Nel mondo delle competizioni poi, a questa prerogativa, si assomma la caratteristica vincente di poter trimmare (regolare) il piede, consentendo alla barca di rimanere nella parte alta dell’onda e di manovrare anche in condizioni di mare difficili.
Da allora MerCruiser ha mietuto un successo dopo l’altro, sino ad arrivare alla realizzazione di veri e propri mostri concepiti per l’offshore.
Insomma … un mito che ha fatto tanta tanta strada, partendo da un mucchio di motori difettosi e dal sogno di venderli per dedicarsi al settore lattiero-caseario … _
Fabrizio Rebolia
THUNDER MAN
Parlare di Don Aronow significa entrare nella leggenda: l’uomo che coi sui successi, il suo genio ed il suo carisma incarnò nell’immaginario collettivo più di chiunque altro la motonautica d’altura, fondatore di 6 cantieri incredibili che han fatto la storia e che tuttora mietono successi, ha vinto più di chiunque altro come pilota e come costruttore e sicuramente avrebbe continuato a vincere se la sua vita non si fosse arrestata nel 1987.
Tutto nella sua vita fu velocità, usando le parole del suo amico il Presidente George Bush “barche veloci, auto veloci, donne veloci” a cui si potrebbe aggiungere … denaro veloce, e fu proprio il denaro veloce, c’è chi dice dei narcos colombiani a cui forniva le sue velocissime barche per il trasporto della cocaina da Cuba alla Florida, c’è chi dice da soci d’affari turlupinati, primo fra tutti Ben Kramer … insomma la sua vita finì simbolicamente dov’era cominciata … in Thunderboat Raw, il vicolo delle barche tuonanti (NE188th Street), la sede dei cantieri di barche offshore di Miami, con un colpo di pistola.
FORMULA MARINE
Il nome Formula Marine, deriva dal fatto che quando Don Aronow, ritiratosi milionario dall’attività di agente immobiliare e dedicatosi alle competizioni motonautiche, decise di rivedere la “formula” costruttiva delle barche veloci nel 1962, prese con sé un efficientissimo team di esperti capeggiati dal leggendario Jim Wynne, il papà degli entrofuoribordo Volvo Penta e creò il suo primo capolavoro. Bravissimo nelle pubbliche relazioni (riuscì addirittura a scarrozzare per mare i Beatles) e raccogliendo vittorie su vittorie nelle gare di quell’anno, non gli fu difficile vendere il cantiere per ricominciare subito dopo: una costante della vita di Aronow, che si ripeterà per ben cinque volte!
DONZI
Con il cantiere Donzi, Aronow creò delle barche ancora più spinte dei Formula, così veloci che Jack Manson, che vinse la Miami – Key West del 1964 con il suo “Kamikaze”, visse l’intera gara ossessionato dall’incubo dal branco di scafi Donzi che lo tallonò dall’inizio alla fine della gara senza dargli tregua e una volta arrivato esclamò: “Those damned Donzi” … frase che da allora costituì il claim della campagna pubblicitaria del cantiere!
I Donzi erano barche terribilmente veloci, così veloci da diventare l’oggetto del desiderio di molte marine militari, guardie costiere e forze speciali in tutto il mondo: dal governo israeliano che li scatenò contro gli egiziani nella “guerra dei sei giorni” del 1967, alla Security del Presidente degli Stati Uniti Johnson, che arrivò addirittura a richiedergliene una versione speciale (visto che il Presidente s’era impossessato di quella ufficiale ed occorreva andar più veloci di lui per proteggerlo) … insomma alla fine i Donzi vinsero tutto ciò che c’era da vincere, sino alla Miami – Nassau del 1965 … e quindi, un’altra volta, Aronow vendette il suo cantiere al miglior offerente per ricominciare!
MAGNUM
Appena firmato il contratto di vendita di Donzi, Aronow acquistò un’altra superficie nella solita Thunderboat Row e cominciò a costruire una barca di 35′ che chiamò Maltese Magnum.
Nel febbraio del 1967 i primi Magnum 27′ debuttarono con i nuovi gruppi entrofuoribordo che gli erano appena stati forniti da un altro personaggio leggendario: Karl Kiekhaefer, più noto come “il signor Mercruiser” … alla fine anche quell’anno Aronow vinse con Maltese Magnum tutto ciò che c’era da vincere negli USA ed anche in Europa.
Curiosa è l’opinione di Aronow sui costruttori europei e sui loro scafi:
“Wynne aveva visto delle carene a V molto interessanti in Europa, più lunghe e più strette di quella realizzata nei Bertram da Ray Hunt. Lo colpì particolarmente il disegno del “Trident” fatto in Inghilterra dal mio amico “Sonny” Levi. Si chiamava “Trident” perché era equipaggiato con 3 motori Volvo.
L’interesse di Wynne per questa barca non era solo casuale, poiché egli aveva inventato la versione moderna del piede poppiero per la Volvo in Svezia. Ma fu solo dopo la vendita del Donzi a Teleflex e l’apertura del Magnum Marine che approfondimmo il problema della carena. Scoprimmo che il numero, la larghezza e la collocazione dei pattini erano molto importanti in relazione all’andatura della barca, all’acqua che prendeva, al rientro eccetera. Scoprimmo come integrare la carena con i pattini ricurvi sulla carena stessa, per ottenere la velocità massima, e come ottenere il migliore rientro possibile, considerato che questo può dare la vittoria o provocare il fallimento nelle gare oceaniche, quando il mare è agitato”.
Alla fine la situazione fu tale che solo chi disponeva del binomio barca Aronow (Magnum) – motore Kiekhaefer (Mercruiser) poteva sperare di vincere il titolo mondiale offshore, come dimostra l’acquisto fatto da Vincenzo Balestrieri (ex proprietario del cantiere Navaltecnica).
Nel frattempo Magnum aveva venduto cinque esemplari del suo 27′ alla Security del neopresidente USA Richard Nixon, altre barche erano andate allo scià di Persia, a principi arabi e magnati americani.
A questo punto il film si ripete: Aronow vende il cantiere (al marchese Filippo Theodoli ed a sua moglie Katrin) e … crea una barca ancora più pazzesca e veloce, quella che a tutt’oggi è l’icona dell’offshore USA.
CIGARETTE
Il nome “The Cigarette” era ripreso da un famoso scafo di contrabbandieri dell’epoca del proibizionismo che, essendo imprendibile, era diventato leggendario.
Così nel 1969 esordì questa barca, dotata dei nuovissimi Mercruiser da 475 cv dotati del rivoluzionario piede Speedmaster. I successi del Cigarette si susseguirono uno dietro l’altro vincendo alla fine anche a Viareggio passando alla boa di Bastia già con 2 min 30” di vantaggio su Balestrieri e oltre 4 su Cosentino.
Cigarette vinse tutto, stracciando i rivali nella Miami – Nassau (stabilendo il nuovo record della gara), arrivando ad un totale di otto vittorie complessive in campionato mondiale …
E ricomincia la sfilza dei clienti facoltosi e famosi (come il re di Spagna Juan Carlos di Borbone, il principe del Kuwait, il re di Svezia, Carolina di Monaco, re Hussein di Giordania che ne acquista 14 in un botto solo, oltre che presentargli Lilian Crawford, che diventerà sua moglie in seconde nozze , e poi nel 1984 arriverà la consacrazione dei Cigarette nella fiction “Miami Vice” con Don Johnson (James “Sonny” Crockett) e Philip Thomas (Ricardo “Rico” Tubbs) … insomma ormai l’Aronow Express è nella leggenda …
AEROMARINE
Liberi di scatenare le loro intuizioni, Aronow e Kiekhaefer concepiscono una versione spinta di Cigarette, il mostro verrà chiamato “Aeromarine” ed era spinto dai potenti efb (ex Mercruiser) Aeromarine da 475 cv … lo scafo debuttò alla Miami – Key West del 1970 e vincerà senza fatica, nonostante un’avaria meccanica.
Aeromarine, che era una versione speciale di Cigarette, finì per stabilire una volta per tutte (caso mai ve ne fosse stato bisogno) la fama di invincibilità delle barche del cantiere, e quindi la sua appetibilità per eventuali acquirenti … acquirenti che puntualmente si presentarono ed a cui Aronow vendette il cantiere … pronto a ricominciare da capo!
USA RACING TEAM
Gli acquirenti del cantiere Cigarette, siccome conoscevano il brutto vizio di Aronow di vendere, ricominciare da capo e … stracciare gli avversari a cui aveva appena venduto, si cautelarono con una clausola contrattuale che vietava ad Aronow di costruire qualsiasi motoscafo con carena a V profonda entro la lunghezza di 60′, per cinque anni …
Ma Aronow non era un tipo da farsi scoraggiare, e aggirò il problema del motoscafo con un “catamarano”.
Dopo vari esperimenti decise di prendere due scafi Cigarette, segarli, incrementarne la lunghezza di 3 piedi, collegarli tra loro con un tunnel e … nacque il 41′.
La vollero in molti quella barca, dal presidente degli USA George Bush al capo della Custom (la Guardia di Finanza americana), che lo voleva per la lotta ai narcos colombiani che sugli stessi scafi introducevano 70 tonnellate di cocaina per volta in Florida… insomma … tutti su catamarani Aronow: guardie e ladri!
Altri catamarani vennero venduti al Sultanato dell’Oman, al dittatore panamense Noriega.
APACHE
Il caso di Apache marine è un po’ particolare e merita di essere qui analizzato per i risvolti che ebbe sull’offshore in genere e su Aronow in particolare.
Nel 1984 Aronow fu avvicinato dal pilota offshore Ben Kramer, che voleva vincere a tutti i costi il mondiale ed a tale scopo si assicurò a caro prezzo la collaborazione esclusiva di Aronow.
L’accordo prevedeva la cessione a Kramer del cantiere USA Racing Team ed il contemporaneo sviluppo di un nuovo cantiere, dietro un corrispettivo costituito da un terreno edificabile a Miami, un elicottero, ed un monte di soldi!
A tale scopo fu fondato il cantiere “Apache Marine” che sfornò un incredibile 41′, tuttavia Aronow in barba agli accordi presi … si riprese USA Racing Team dietro la restituzione di terreno ed elicottero …
Quando Kramer gli chiese conto del denaro … Aronow fece lo gnorri … e questa per molti fu la causa della sua morte …
THUNDERBOAT ROW
Nel pomeriggio del 3 febbraio 1987, sulla strada statale Nord-Est, 188th Street di Nord Miami Beach … una Lincoln nera si avvicinò ad Aronow che stava scendendo dalla sua Mecedes Pagoda bianca e … gli scaricò addosso sei colpi di calibro 45.
Chi è stato?
Non s’è mai scoperto … chi dice i Narcos colombiani, chi Ben Kramer … insomma la vita di Aronow finì esattamente dal punto in cui era iniziata la sua avventura 25 anni prima, nel vicolo delle barche tuonanti che rimarrà per sempre legato alla sua leggendaria figura_.
Fabrizio Rebolia
L’OFFSHORE ARRIVA IN EUROPA
Negli anni successivi le edizioni della Miami Nassau si susseguirono con successo crescente, testimoniato sia dal numero dei partecipanti che dal miglioramento progressivo delle performances dei concorrenti, ma con una costante: in testa all’arrivo si trovavano sempre scafi con carena Hunt a V profondo.
Sulla scia dell’entusiasmo sollevato dalla gara americana, nel 1961 degli appassionati motonauti europei che avevan partecipato alla Miami Nassau, decidono di portare la motonautica d’altura in Gran Bretagna, specificamente nelle acque del Solent, il braccio di mare che divide l’Inghilterra dall’Isola di Wight, nacque così la prima e più importante gara europea di offshore, la Cowes – Torquay – Cowes.
Il Solent è tristemente famoso tra i marinai per le acque sempre agitate, le fortissime correnti, i fondali bassi, le nebbie e le frequenti secche … ovviamente vinse una barca a V profondo, costruita su disegni di Hunt … ma in quelle acque perennemente agitate destò molta impressione l’ottimo comportamento sull’onda di una piccola barca italiana: “A Speranziella”, costruita dal cantiere romano Navaltecnica su disegni di Renato Sonny Levi, un nome che i progettisti americani avrebbero presto incominciato a temere …
RENATO “SONNY” LEVI
Renato Levi, soprannominato Sonny, nacque nel 1926 a Karachi in Pakistan da genitori italiani lì per seguire l’azienda di famiglia AFCO (il soprannome “Sonny” gli fu dato dalla tata che non ne riusciva a pronunciare correttamente il nome), si appassionò da subito al mondo della motonautica ed alla progettazione, dove grazie allo studio rigoroso dei materiali, dei modelli matematici sottostanti e per lo spirito rivoluzionario di innovazione che lo anima risultò essere uno dei più prolifici, se non il più prolifico innovatore nella storia della motonautica d’altura.
Da sue idee derivano quelle che oggi consideriamo come caratteristiche acquisite nelle barche veloci a motore: le eliche di superficie con sistema intubato – Levi drive unit, appunto, l’utilizzo in motonautica del compensato marino, la motorizzazione diesel utilizzata su scafi veloci.
I nomi delle sue barche appartengono alla storia perchè evocano vittorie e record: i cabinati “Speranza mia”, “A Speranziella” che ancor oggi è un punto di riferimento per gli scafi d’altura a cui fecero seguito “Settimo Velo” e “Ultima Dea” la barca da gara espressamente realizzata per Gianni Agnelli, le motovedette “Supersperanza”, la serie dei Delta, quella dei “Drago” con cui per la prima volta s’è realizzata una barca di serie capace di navigare a 50 nodi.
Un episodio curioso: il motoscafo Drago ottenne un immediato successo tra i contrabbandieri per le sue incredibili qualità marine e velocistiche, tanto che nel corso di un’operazione di contrasto alla criminalità venne requisito un Drago di proprietà del clan dei Marsigliesi.
Le caratteristiche dell’imbarcazione impressionarono così forte i militi da far sì che lo scafo requisito fu subito verniciato grigio – Guardia di Finanza … alla fine il Drago Italcraft, barca comunemente utilizzata sia dai finanzieri che dai contrabbandieri per le sue caratteristiche uniche … fu soprannominato a Napoli col nomignolo di: “O‘ pappavallo” (il pappagallo) per via della forma della prua. All’estero passò invece alla storia con l’appellativo di “marlboro killer” perché era l’incubo dei trafficanti di sigarette.
Renato “Sonny” Levi collaborò con vari cantieri: si ricordano le sue barche realizzate da Navaltecnica e Canav (Speranziella, Settimo Velo, Ultima Dea, Supersperanza), da Italcraft (Drago e poi tutta la serie Aeromarina), da Partenocraft (Delta Synthesis) e da molti altri.
Fabrizio Rebolia
Premessa
Quando si parla di offshore, si intende una gara motonautica interamente corsa in mare aperto, con questo volendola distinguere da quelle che si svolgono in bacini chiusi, come i laghi e le lagune, per esempio. La caratteristica che contraddistingue le barche offshore è la ricerca della massima velocità abbinata ad una carena che consenta di navigare nonostante le onde, le correnti ed il vento, tutte le condizioni cioè che contraddistinguono una competizione in mare aperto.
Va da se’ che le barche offshore fino a ieri erano quasi esclusivamente dei monocarena, ossia barche con uno scafo solo, poiché queste assorbono meglio il moto ondoso. In tempi recenti questa caratteristica s’è un po’ perduta, poiché le gare offshore per motivi mediatici han perso il loro carattere originario e son diventate gare sempre meno marine e sempre più da circuito.
La Miami – Nassau
Se per offshore intendiamo la competizione sportiva in mare aperto, sicuramente dobbiamo andare al 6 maggio 1956, quando un gruppo di appassionati statunitensi con l’hobby della motonautica, volle stabilire chi avesse la barca più veloce sul percorso Miami – Nassau. Una competizione in mare aperto, dalla Florida puntando la barca per 184 miglia verso il largo sino alle Bahamas … Ecco, possiamo dire che quel giorno nacque la motonautica d’altura (ossia l’offshore).
I concorrenti di quella prima edizione furono solo undici e terminarono in otto. Vinse col tempo di 9h e 31 (31,7 km/h di media) Doodle II, uno scafo molto piccolo, un open di 34 piedi della Chris Craft pilotato da Sam Griffith e Dick Bertram.
Alla fine della gara il fasciame sovrapposto di Doodle II era tutto allentato per le sollecitazioni subite ed i colpi ricevuti, ad ogni modo quello fu l’inizio: la gara piacque così tanto che fu replicata gli anni successivi ed ancor oggi è una di quelle classiche offshore che da sola vale un campionato
Le carene a V profondo
Dick Bertram era un broker di Miami, appassionato di vela più che di motonautica, anzi, fu proprio assistendo ad una regata in una giornata di mare mosso che si imbattè in una barca per nulla disturbata dalle onde che in quel momento si frangevano sul campo di gara, e che anzi, teneva il mare con una capacità mai vista.
Al timone di quel prototipo c’era un architetto navale di nome Ray Hunt.
Hunt aveva intuito che facendo proseguire la V della prora delle imbarcazioni per l’intero scafo fino alla poppa, la barca fendeva l’onda anche con mare formato non rimbalzando su di essa, ma tagliandola.
Bertram contattò Hunt con il proposito di portare l’idea del V profondo nelle carene delle imbarcazioni a motore e da quell’incontro nel 1960 nacque Moppie, dal nome della moglie di Bertram, una barca così azzeccata da divenire una leggenda: quella dei motoscafi Bertram con carena Hunt a V profondo, ancor oggi sinonimo di scafi d’altura e fisherman a prova di qualsiasi condizione di mare.
Fabrizio Rebolia