PREMESSA
Le barche sono da sempre un mezzo di trasporto per persone o cose, e le barche veloci sono da sempre anche un eccellente mezzo di fuga. Parlare di barche veloci significa quindi anche parlare di inseguimenti tra contrabbandieri e forze destinate al contrabbando: ad ogni vantaggio acquisito da una parte s’è subito contrapposto il superamento di detto vantaggio dall’altra, spingendo l’evoluzione tecnologica verso motoscafi sempre più veloci, maneggevoli, performanti, in una parola sempre più efficienti.
Questo breve articolo ha lo scopo di tracciare qualche profilo di questo eterno inseguimento tra “guardie e ladri”.
IL PROIBIZIONISMO
E’ negli anni del proibizionismo che per la I volta i motoscafi veloci vengono utilizzati per il contrabbando, nella fattispecie di alcoolici, da cui deriva il loro soprannome di allora rum runners. I rum runners più profilati e veloci furono poi soprannominati cigarette dalla loro forma affusolata a sigaretta. Questo nome, come vedremo in seguito, acquisterà una notevole importanza nella storia della motonautica e anche nella motonautica del contrabbando.
GLI SCAFI BLU
Cambiamo scenario e passiamo dal proibizionismo dell’America degli anni ’30 alla Napoli degli anni ’50 e ’60, dove tutte le sere gli scafi blu (dal nome della loro colorazione per sfuggire agli avvistamenti) dei contrabbandieri si muovevano da Napoli fino a 20 – 30 miglia da Capri, andando a intercettare le navi cariche di sigarette per portare a terra il prezioso carico di contrabbando.
I contrabbandieri seguivano i “fari di via”, affiancavano le navi con la barca, alzavano un’asta di 6 – 7 metri che terminava con un uncino dalla quale salivano a forza di braccia a bordo. Operazione pericolosa perché se non ce la facevi, il rischio era quello di cadere e finire direttamente sulle eliche della nave perennemente in movimento.
L’attività era così fiorente che questi motoscafi, noti come scafi blu o squali erano famosi anche col nome di Napoli, per la loro provenienza. I Napoli erano scafi costruiti in compensato di mogano con il classico parabrezza a V e motorizzati con 2 Mercruiser, venivano appunto costruiti da abilissimi maestri d’ascia nei cantieri napoletani come Pezzella e Molimar. La colorazione in blu era data per evitare riflessi di luce che potessero far scoprire lo scafo in lontananza.
Il centro del contrabbando napoletano era il Borgo Marinari, ubicato a ridosso del Castel dell’Ovo, unito alla terraferma attraverso un istmo artificiale che si collega al Borgo Santa Lucia.
La Guardia di Finanza italiana aveva nei meravigliosi Italcraft – Drago il principale mezzo di contrasto agli scafi blu. Il Drago era un motoscafo progettato da Renato “Sonny” Levi per Italcraft ed era l’incubo dei contrabbandieri; motovedetta velocissima, per il proprio profilo con la prua discendente venne soprannominato da questi o pappavallo (il pappagallo).
MIAMI VICE
Tra gli anni ’70 ed ’80 la merce trasportata di contrabbando e le rotte utilizzate cambiano: si passa dal Rum del proibizionismo americano, alle sigarette della Napoli del dopoguerra alle rotte della cocaina dei narcos colombiani che fanno arrivare la droga attraverso il Mar dei Caraibi verso la Florida su velocissimi motoscafi direttamente derivati dalle competizioni offshore.
Alla US Custom (la guardia di finanza americana) non rimane quindi che andare dal costruttore delle più veloci barche di allora, Don Aronow, che coi suoi Cigarette (in onore delle barche del proibizionismo) raccoglieva vittorie su vittorie nelle competizioni di motonautica d’altura, convincendolo a fornire i suoi motoscafi alla US Custom. Leggendari furono gli incontri su tale argomento tra Don Aronow e il Presidente degli Stati Uniti George Bush senior.
Questi inseguimenti sul filo dei 50 nodi avvenivano con qualsiasi mare e qualsiasi tempo, e i narcos preferivano le barche con bassissimo profilo, per essere invisibili ai radar e con ridotta immersione, per i bassi fondali delle acque caraibiche. Addirittura la Wellcraft arrivò a pubblicizzare le doti del proprio Scarab con la frase “l’unico modo per fermare questo motoscafo è vederlo alla TV”.
LA ROTTA ALBANESE
Nello stesso periodo, nel Mediterraneo, il traffico di contrabbando di sigarette si trasferisce dalle acque del Golfo di Napoli a quelle meno battute della Puglia, dove prospera il contrabbando con l’Albania.
Qui si assiste all’escalation del valore della merce trasportata (dalle sigarette, ai clandestini, alla droga) e di conseguenza a quello delle velocità degli inseguimenti e della violenza degli ingaggi e dei conseguenti scontri.
Anche le barche cambiano e abbiamo l’ascesa di tre nomi che diverranno mitici: Supertermoli, Corbelli e Buzzi.
Il Supertermoli era il tipico scafo utilizzato dai contrabbandieri, battezzato così perché era la versione potenziata del Termoli, costruito in un cantiere navale a Termoli; era un “mostro” da 18 mt con 4 motori Seatek diesel da 750hp ciascuno, propulsione Trimax per una velocità di 65 nodi, velocità che era tenuta anche di notte!
I Corbelli eran gli scafi della Guardia di Finanza (ma a volte coi Supertermoli le posizioni si invertivano) ed eran costruiti in un cantiere navale a Massa Carrara dall’ingegnere Giancarlo Corbelli; avevano 4 motori Mercruiser da 480hp, sistema di propulsione Bravo One ed eliche Rolla, per una velocità a pieno carico di 50 nodi circa.
L’unico modo per fermare gli scafi dei contrabbandieri, che avevano a loro vantaggio la velocità o la maneggevolezza o entrambe, era quello di intrappolare le eliche con i cavi usati per le reti a strascico con l’anima di acciaio: non bastava che li prendessero nelle eliche, dovevi obbligarli a correre per un bel po’ di tempo con quella cima nelle eliche per far sì che gli invertitori andassero in avaria. I cavi venivano filati affiancando a prua ed al mascone le barca dei contrabbandieri, accostando rapidamente e scartando, al fine di farli finire nelle eliche della barca fuorilegge.
Era una lotta pericolosa e terribile, sia per la velocità raggiunta con qualsiasi mare, che per le caratteristiche delle barche dei contrabbandieri, una volta che ebbero a disposizione gli ultimi Corbelli da 70 nodi, con prua rinforzata in acciaio per speronare le barche della Guardia di Finanza, e 2 motori da 1.000hp e in grado di attraversare 2 – 3 volte a notte l’Adriatico dalla Puglia a Bar in Montenegro (dove si era nel frattempo stabilita la base operativa dei criminali).
Le cose poi migliorarono decisamente per la Guardia di Finanza italiana con l’arrivo dei V 6.000 Classe Levriero, con 4 motori Seatek da 750hp, propulsione Trimax, per una velocità di 75 nodi.
Progettati dall’ingegner Fabio Buzzi, recentemente scomparso, e costruiti da Intermarine di Sarzana dal 2001, questi mezzi formidabili hanno anche 20 nodi più di quelli dei trafficanti, dovendo addirittura decelerare per non superarli in maniera troppo larga (le accostate van sempre fatte molto strette per chiudere la barca che si vuol fermare).
I PICUDA DEI NARCOS
L’ultima frontiera in fatto di motoscafi utilizzati dai narcos colombiani contro la DEA americana, sono i Picuda Boats, così chiamati perché la loro forma richiama quella dell’omonimo pesce tropicale.
Sono scafi costruiti in fibra di vetro e con forma spigolosa al fine di accentuare le loro qualità stealth e risultare così invisibili ai radar.
FABRIZIO REBOLIA